domenica 9 gennaio 2011

Perché restituirei i calciatori brasiliani al Brasile, e poi vediamo la saudade.

Uno degli elementi che ha reso il calcio il “gioco più bello del mondo” è il suo essere uno sport di squadra. E, a prescindere dalle frasi “politically correct”, i risultati si condividono tra tutte le persone scese in campo.

A volte, però, è il tocco del campione a imprimere la svolta decisiva a una partita. E, i vari Messi, Ibrahimović o Cristiano Ronaldo, vengono consacrati a idoli della folla.
Così, di tanto in tanto, qualcuno (più o meno autorevole) prova a stilare la proprio classifica dei migliori calciatori di sempre. In tale situazione, però, un punto comune c’è sempre e, a prescindere dal contesto o da altri elementi non riconducibili alle doti del singolo atleta, nelle prime posizioni si sono sempre letti i nomi dei soliti sospetti brasiliani: Pelé, Ronaldo, Zico, Garrincha, Romario.

Spesso di origini umili (ma non sempre, basti pensare a Kakà), questi calciatori hanno fatto la gioia dei tifosi anche in Italia. Basti pensare, tra i vari, a Paulo Roberto Falcao, giocatore della Roma idolatrato nonostante il rifiuto di battere un rigore (poi fallito da un compagno di squadra) durante la finale persa col Liverpool dell’odierna Champions League.  E, poi, Ricardo Izecson dos Santos Leite, meglio noto come Kakà, Edmundo “O Animal”, appellativo guadagnatosi per il suo carattere non proprio docile e, ancora Careca, Toninho Cerezo, Roberto Carlos, etc.

Poi, sarà per il maggiore impatto dei media nel calcio, per la maggiore disponibilità di divertimenti propria della nostra contemporaneità o per il potere sempre maggiore dei procuratori qualcosa pare essere cambiato. E, non sempre, i brasiliani sono ricordati per le loro prodezze in campo.

Il mio interrogativo sorge da una partita di Serie A 2010-11: Sampdoria-Roma (2-1). Nonostante che nel calcio si vinca (e si perda) in 11, un libero professionista come Juan (difensore della Roma) pagato profumatamente con un contratto di esclusiva a tempo determinato ritorna dalle vacanze in condizioni fisiche talmente pietose da causare, da solo, la sconfitta della propria squadra. Certo, lo si poteva tenere in panchina ma se ha dato la disponibilità a entrare in campo e non evidenzia problemi fisici perché un allenatore dovrebbe tenere un ottimo giocatore in panchina?

È poi possibile che ogni volta che l’interista Maicon trova estimatori tra i dirigenti di altre squadre di calcio chieda un ritocco verso l’alto dell’ingaggio? E, pensando che è uno dei migliori nel suo ruolo, gli estimatori di certo non gli mancano! E che Ronaldinho vada a ballare fino a tardi prima di una partita molto importante della sua squadra? E che i datori di lavoro di Adriano debbano temere che il professionista non torni dal Brasile perché soffre di questa contagiosissima “saudade” o, tradotta, nostalgia?

Non voglio che il mio sembri un attacco ai brasiliani e, per questo, cito anche il caso Mutu. Il giocatore romeno della Fiorentina sta mettendo a ferro e fuoco la sua attuale società perché essa si era dichiarata non interessata a cederlo a un prezzo ben al di sotto del suo reale valore di mercato. Voi vendereste la vostra macchina (presumendo sia in buone condizioni) a 200 euro solo perché un amico di chi è intenzionato a comprarla a quel prezzo reputa che il valore attribuito all’auto sia adeguato? No? Avreste voglia di spiegare perché a Becali, il procuratore di Mutu?

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